CHI E' (SAULO) PAOLO DI TARSO?

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Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:08
Chi è (Saulo) Paolo di Tarso?

Atti 9

1 Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote
2 e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati.
3 E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo
4 e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?».
5 Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti!
6 Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare».
7 Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno.
8 Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco,
9 dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.

10 Ora c'era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!».
11 E il Signore a lui: «Su, va' sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco sta pregando,
12 e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire e imporgli le mani perché ricuperi la vista».
13 Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest'uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme.
14 Inoltre ha l'autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome».
15 Ma il Signore disse: «Va', perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele;
16 e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome».
17 Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo».
18 E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato,
19 poi prese cibo e le forze gli ritornarono.

Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco,
20 e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio.
21 E tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano: «Ma costui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed era venuto qua precisamente per condurli in catene dai sommi sacerdoti?».
22 Saulo frattanto si rinfrancava sempre più e confondeva i Giudei residenti a Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo.
23 Trascorsero così parecchi giorni e i Giudei fecero un complotto per ucciderlo;
24 ma i loro piani vennero a conoscenza di Saulo. Essi facevano la guardia anche alle porte della città di giorno e di notte per sopprimerlo;
25 ma i suoi discepoli di notte lo presero e lo fecero discendere dalle mura, calandolo in una cesta.

26 Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo.
27 Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù.
28 Così egli potè stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore
29 e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo.
30 Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.
31 La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo.

32 E avvenne che mentre Pietro andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che dimoravano a Lidda.
33 Qui trovò un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su un lettuccio ed era paralitico.
34 Pietro gli disse: «Enea, Gesù Cristo ti guarisce; alzati e rifatti il letto». E subito si alzò.
35 Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saròn e si convertirono al Signore.

36 A Giaffa c'era una discepola chiamata Tabità, nome che significa «Gazzella», la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine.
37 Proprio in quei giorni si ammalò e morì. La lavarono e la deposero in una stanza al piano superiore.
38 E poiché Lidda era vicina a Giaffa i discepoli, udito che Pietro si trovava là, mandarono due uomini ad invitarlo: «Vieni subito da noi!».
39 E Pietro subito andò con loro. Appena arrivato lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro.
40 Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi rivolto alla salma disse: «Tabità, alzati!». Ed essa aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere.
41 Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i credenti e le vedove, e la presentò loro viva.

42 La cosa si riseppe in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore.
43 Pietro rimase a Giaffa parecchi giorni, presso un certo Simone conciatore.




Cappella Cerasi (la prima a sinistra dell'Altare nella Chiesa di santa Maria del Popolo -Roma-). Conversione di San Paolo. Caravaggio (1601).

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00domenica 9 novembre 2008 10:19
Mercoledì 25.10.2006 Benedetto XVI spiega san Paolo:ascoltiamo la parola del Santo Padre!Cari fratelli e sorelle,abbiamo concluso le nostre riflessioni sui dodici Apostoli chiamati direttamente da Gesù durante la sua vita terrena. Oggi iniziamo ad avvicinare le figure di altri personaggi importanti della Chiesa primitiva. Anch’essi hanno speso la loro vita per il Signore, per il Vangelo e per la Chiesa. Si tratta di uomini e anche di donne, che, come scrive Luca nel Libro degli Atti, «hanno votato la loro vita al nome del Signore nostro Gesù Cristo» (15,26).Il primo di questi, chiamato dal Signore stesso, dal Risorto, ad essere anch’egli un vero Apostolo, è senza dubbio Paolo di Tarso. Egli brilla come stella di prima grandezza nella storia della Chiesa, e non solo di quella delle origini. San Giovanni Crisostomo lo esalta come personaggio superiore addirittura a molti angeli e arcangeli (cfr Panegirico 7,3). Dante Alighieri nella Divina Commedia,ispirandosi al racconto di Luca negli Atti (cfr 9,15), lo definisce semplicemente «vaso di elezione» (Inf. 2,28), che significa: strumento prescelto da Dio. Altri lo hanno chiamato il "tredicesimo Apostolo" – e realmente egli insiste molto di essere un vero Apostolo, essendo stato chiamato dal Risorto -, o addirittura "il primo dopo l'Unico". Certo, dopo Gesù, egli è il personaggio delle origini su cui siamo maggiormente informati. Infatti, possediamo non solo il racconto che ne fa Luca negli Atti degli Apostoli, ma anche un gruppo di Lettere che provengono direttamente dalla sua mano e che senza intermediari ce ne rivelano la personalità e il pensiero. Luca ci informa che il suo nome originario era Saulo (cfr At 7,58; 8,1 ecc.), anzi in ebraico Saul (cfr At 9,14.17; 22,7.13; 26,14), come il re Saul (cfr At 13,21), ed era un giudeo della diaspora, essendo la città di Tarso situata tra l’Anatolia e la Siria. Ben presto era andato a Gerusalemme per studiare a fondo la Legge mosaica ai piedi del grande Rabbì Gamaliele (cfr At 22,3). Aveva imparato anche un mestiere manuale e ruvido, la lavorazione di tende (cfr At 18,3), che in seguito gli avrebbe permesso di provvedere personalmente al proprio sostentamento senza gravare sulle Chiese (cfr At 20,34; 1 Cor 4,12; 2 Cor 12,13-14).Fu decisivo per lui conoscere la comunità di coloro che si professavano discepoli di Gesù. Da loro era venuto a sapere di una nuova fede, - un nuovo "cammino", come si diceva - che poneva al proprio centro non tanto la Legge di Dio, quanto piuttosto la persona di Gesù, crocifisso e risorto, a cui veniva ormai collegata la remissione dei peccati. Come giudeo zelante, egli riteneva questo messaggio inaccettabile, anzi scandaloso, e si sentì perciò in dovere di perseguitare i seguaci di Cristo anche fuori di Gerusalemme. Fu proprio sulla strada di Damasco, agli inizi degli anni ’30, che Saulo, secondo le sue parole, venne «ghermito da Cristo» (Fil 3,12). Mentre Luca racconta il fatto con dovizia di dettagli, - di come la luce del Risorto lo ha toccato e ha cambiato fondamentalmente tutta la sua vita – egli nelle sue Lettere va diritto all’essenziale e parla non solo di visione (cfr 1 Cor 9,1), ma di illuminazione (cfr 2 Cor 4,6) e soprattutto di rivelazione e di vocazione nell’incontro con il Risorto (cfr Gal 1,15-16). Infatti, si definirà esplicitamente «apostolo per vocazione» (cfr Rm 1,1; 1 Cor 1,1) o «apostolo per volontà di Dio» (2 Cor 1,1; Ef 1,1; Col 1,1), come a sottolineare che la sua conversione era non il risultato di uno sviluppo di pensieri, di riflessioni, ma il frutto di un intervento divino, di un’imprevedibile grazia divina. Da allora in poi, tutto ciò che prima costituiva per lui un valore divenne paradossalmente, secondo le sue parole, perdita e spazzatura (cfr Fil 3,7-10). E da quel momento tutte le sue energie furono poste al servizio esclusivo di Gesù Cristo e del suo Vangelo. Ormai la sua l'esistenza sarà quella di un Apostolo desideroso di «farsi tutto a tutti» (1 Cor 9,22) senza riserve.Di qui deriva per noi una lezione molto importante: ciò che conta è porre al centro della propria vita Gesù Cristo, sicché la nostra identità sia contrassegnata essenzialmente dall’incontro, dalla comunione con Cristo e con la sua Parola. Alla sua luce ogni altro valore viene recuperato e insieme purificato da eventuali scorie. Un’altra fondamentale lezione offerta da Paolo è il respiro universale che caratterizza il suo apostolato. Sentendo acuto il problema dell'accesso dei Gentili, cioè dei pagani, a Dio, che in Gesù Cristo crocifisso e risorto offre la salvezza a tutti gli uomini senza eccezioni, dedicò se stesso a rendere noto questo Vangelo, letteralmente «buona notizia», cioè annuncio di grazia destinato a riconciliare l'uomo con Dio, con se stesso e con gli altri. Dal primo momento egli aveva capito che questa è una realtà che non concerneva solo i giudei o un certo gruppo di uomini, ma che aveva un valore universale e concerneva tutti, perché Dio è il Dio di tutti. Punto di partenza per i suoi viaggi fu la Chiesa di Antiochia di Siria, dove per la prima volta il Vangelo venne annunciato ai Greci e dove venne anche coniato il nome di «cristiani» (cfr At 11, 20.26), cioè di credenti Cristo. Di là egli puntò prima su Cipro e poi a più riprese sulle regioni dell'Asia Minore (Pisidia, Licaonia, Galazia), poi su quelle dell’Europa (Macedonia, Grecia). Più rilevanti furono le città di Efeso, Filippi, Tessalonica, Corinto, senza tuttavia dimenticare Beréa, Atene e Mileto.Nell’apostolato di Paolo non mancarono difficoltà, che egli affrontò con coraggio per amore di Cristo. Egli stesso ricorda di aver agito «nelle fatiche… nelle prigionie… nelle percosse… spesso in pericolo di morte...: tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio...; viaggi innumerevoli, pericoli dai fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità; e oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese» (2 Cor 11,23-28). Da un passaggio della Lettera ai Romani (cfr 15, 24.28) traspare il suo proposito di spingersi fino alla Spagna, alle estremità dell'Occidente, per annunciare il Vangelo dappertutto, fino ai confini della terra allora conosciuta. Come non ammirare un uomo così? Come non ringraziare il Signore per averci dato un Apostolo di questa statura? E’ chiaro che non gli sarebbe stato possibile affrontare situazioni tanto difficili e a volte disperate, se non ci fosse stata una ragione di valore assoluto, di fronte alla quale nessun limite poteva ritenersi invalicabile. Per Paolo, questa ragione, lo sappiamo, è Gesù Cristo, di cui egli scrive: «L'amore di Cristo ci spinge... perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2 Cor 5,14-15), per noi, per tutti.Di fatto, l’Apostolo renderà la suprema testimonianza del sangue sotto l'imperatore Nerone qui a Roma, dove conserviamo e veneriamo le sue spoglie mortali. Così scrisse di lui Clemente Romano, mio predecessore su questa Sede Apostolica negli ultimi anni del secolo I°: «Per la gelosia e la discordia Paolo fu obbligato a mostrarci come si consegue il premio della pazienza... Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, e dopo essere giunto fino agli estremi confini dell'Occidente, sostenne il martirio davanti ai governanti; così partì da questo mondo e raggiunse il luogo santo, divenuto con ciò il più grande modello di perseveranza» (Ai Corinzi 5). Il Signore ci aiuti a mettere in pratica l’esortazione lasciataci dall’Apostolo nelle sue Lettere: «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1 Cor 11,1).www.vatican.va
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00domenica 9 novembre 2008 10:20
Omelia di san Giovanni Crisostomo in onore di san Paolo. Hom. VII in laude S. Pauli, 4.6.10-13, in PG 50, 510-514. San Paolo risalì dalle acque divine del battesimo con un fuoco così ardente che non attese un maestro, non aspettò Pietro, né andò da Giacomo, né da nessun altro; spinto dal suo ardore, infiammò la città di Damasco al punto da scatenare un'aspra guerra contro di lui. Del resto anche quando era giudeo, agiva oltre la sua autorità, arrestando, imprigionando, confiscando. Così aveva fatto anche Mosè, il quale, senza che nessuno lo incaricasse, si era opposto all'iniquità dei barbari contro i suoi connazionali. Questo comportamento denota un animo nobile e un carattere generoso, che non ammette di tollerare in silenzio i mali altrui, anche se nessuno gliene affida l'incarico. Che Mosè giustamente si sia precipitato a difendere i suoi, lo ha dimostrato Dio, perché in seguito lo elesse; e il Signore ha agito così anche nel caso di Paolo. Che anche questi abbia fatto bene allora a darsi alla predicazione e all'insegnamento, lo ha manifestato Dio innalzandolo rapidamente alla dignità dei maestri.Paolo, più ardente del fuoco, non rimase nessun giorno inoperoso. Non appena risalì dalla sacra fonte del battesimo, si infiammò grandemente e non pensò ai pericoli, alla derisione e alle ingiurie da parte dei Giudei, al fatto di non trovare credito presso di loro, né a nessun altro elemento di tal genere. Presi invece altri occhi, quelli dell'amore, e un'altra mentalità, si slanciava con grande impeto, come un fiume in piena; travolgendo tutte le argomentazioni dei Giudei, dimostrava mediante le Scritture che Gesù è il Cristo [Cf At 9,22]. Eppure non aveva ancora molti doni della grazia, non era stato ancora ritenuto degno di ricevere lo Spirito così intensamente; tuttavia subito in infiammò. Faceva tutto con un animo che non si curava della morte e agiva in ogni occasione come per giustificarsi del passato.Aveva maggior fiducia quando era in pericolo; questa situazione lo rendeva più coraggioso, e non solo lui, ma anche i discepoli a causa sua. Se l'avessero visto cedere e diventare più timoroso, forse anch'essi avrebbero ceduto; ma poiché lo videro divenire più coraggioso e, pur maltrattato, impegnarsi maggiormente, proclamavano il Vangelo con franchezza. Per indicare ciò, l'Apostolo diceva: La maggior parte dei fratelli, incoraggiati dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore [Fil 1,14]. Vedendolo incatenato e proclamare il vangelo in carcere, flagellato e conquistare alla sua causa i flagellatori, i discepoli ne ricevevano maggior fiducia. Paolo lo dimostra, perché non ha detto semplicemente: Incoraggiati dalle mie catene, ma aggiunge: Ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore [Fil 1,14]; vale a dire, i fratelli parlavano con più franchezza ora piuttosto che quando era libero. E anch'egli aveva un ardore maggiore, perché era più motivato contro i nemici, e l'aumento delle persecuzioni si risolveva in un incremento raddoppiato di sicurezza e di coraggio.Una volta fu imprigionato e rifulse al punto da scuotere le fondamenta della prigione, aprire le porte, far passare dalla sua parte il carceriere, e far quasi cambiare parere al giudice, tanto che costui disse: Per poco non mi convinci a farmi cristiano! [At 26,28]. Un'altra volta fu preso a sassate e, entrato nella città che l'aveva lapidato, la convertì. Lo citarono in tribunale per giudicarlo ora i Giudei, ora gli Ateniesi; i giudici diventarono discepoli, gli avversari seguaci.Come un fuoco, abbattendosi su differenti materiali, trova incremento nella materia sottostante, così anche la parola di Paolo faceva passare dalla sua parte quanti incontrava; coloro che gli erano ostili, conquistati dai suoi discorsi, divenivano subito alimento per quel fuoco spirituale e, mediante essi, la Parola prendeva nuovo vigore e passava ad altri. Perciò l'Apostolo diceva: Io soffro fino a portare le catene, ma la parola di Dio non è incatenata [Cf 2 Tm 2,9].Infuriava la persecuzione, costringendo Paolo alla fuga, ma in realtà essa era l'invio in missione. Quello che avrebbero fatto amici e seguaci, lo facevano i nemici, in quanto non gli permettevano di stabilirsi in un solo luogo, ma facevano girare ovunque quel medico d’anime, mediante i loro complotti e persecuzioni, in modo che tutti ascoltavano la sua parola. Di nuovo lo incatenarono e ne aumentarono lo zelo; scacciarono i suoi discepoli col risultato che inviarono un maestro a quelli che non lo avevano; lo condussero a un tribunale più importante e giovarono a una città più grande.I Giudei, inquieti a causa di Pietro e Giovanni, si erano chiesti: Che cosa dobbiamo fare a questi uomini? [At 4,16]. Riconoscevano infatti che le loro misure tornavano a vantaggio di quelli. Così anche nel caso della predicazione di Paolo: gli espedienti messi in opera per estirpare la Parola, la fecero crescere e la innalzarono a un’altezza indicibile.Per tutti questi benefici ringraziamo la potenza di Dio che li ha elargiti e proclamiamo beato Paolo per mezzo del quale essi si sono verificati. *********
Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:20
Dai Discorsi di san Bernardo. Sermo in Conversione S. Pauli, I, 1-2.5-6, in PL 183, 359-363. La conversione del Dottore delle genti è oggi celebrata, cari fratelli, con gaudio festoso in ogni paese, perché da quel ceppo sono spuntati molti rami. Divenuto soldato di Cristo, Paolo fu strumento della conversione del mondo: ancora nella carne - ma senza vivere secondo la carne - portò gli animi a Dio con la predicazione; oggi, da dove vive beato, continua a essere ministro di conversione mediante l'esempio, la preghiera, la dottrina. Noi celebriamo la conversione di san Paolo, perché è un evento utilissimo a chi ne fa memoria: il peccatore vi attinge la speranza del perdono, si sente provocato alla penitenza; e il cuore contrito vi trova il modello della perfetta conversione. Come disperare di fronte a crimini anche enormi, quando si vede Saulo, fremente minaccia e stragi contro i discepoli del Signore, subitamente mutato in vaso di elezione? Chi potrebbe dire sotto il peso dell'iniquità: "Non gliela faccio più a diventare migliore", se il più crudele persecutore dei cristiani, mentre avido di sangue esalava veleno dal cuore feroce, divenne all'improvviso il predicatore più fedele? E' stupendo come questa conversione metta in risalto la misericordia di Dio e la potenza della sua grazia. Paolo mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco - ci racconta Luca negli Atti - all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo (At 9, 3 ss.). Guardate l'inestimabile condiscendenza della bontà divina! Avvolge di celeste fulgore quest'uomo che nell'animo è ancora nelle tenebre; siccome non può penetrargli in cuore lo avvolge con la sua luce divina. Paolo, cadendo a terra, udì una voce. La luce e la voce sono i due testimoni inequivocabili; non si può più dubitare della verità che penetra insieme dagli occhi e dagli orecchi. Nel battesimo del Signore al Giordano ci fu una simile combinata testimonianza di luce e di voce. E lo stesso capitò alla trasfigurazione di Gesù sul monte, quando apparve un bagliore accecante e si udì la voce del Padre. Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Eccolo preso: impossibile negare, impossibile dissimulare, perché nelle mani ha ancora le lettere con l'atroce mandato, frutto di iniquo esecrando potere. “Perché perseguiti me, Gesù?'' Non perseguitava forse Cristo colui che trucidava le membra di Cristo? Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Rispose: Chi sei, o Signore? La risposta di Paolo dimostra bene che la luce gli era diffusa attorno e non infusa dentro. Udiva la voce del Signore, ma non ne vedeva il volto. Stava formandosi alla scuola della fede, lui che avrebbe scritto ai Romani come la fede dipenda dall'ascolto (Cf Rm 10, 17-23). Saulo domanda: Chi sei. o Signore? perché perseguitava uno sconosciuto. Ottenne misericordia, poiché aveva agito per ignoranza e incredulità. Imparate da qui, fratelli, che Dio è un giudice giusto: egli valuta gli atti secondo l'intenzione che li detta. Badate di non reputare mai come irrisorie le piccole mancanze commesse lucidamente. Nessuno dica in cuor suo: "Sono inezie, non vale la pena correggersene. Che male c'è in questi peccati veniali tanto minimi?". No, fratelli, questo modo di parlare è impenitenza, è la bestemmia contro lo Spirito Santo, bestemmia irremissibile. Paolo bestemmiava si, ma non contro lo Spirito Santo, dato che agiva per ignoranza e incredulità. E poiché non bestemmiò contro lo Spirito Santo, ottenne misericordia. Chi sei tu, o Signore? E la voce: Io sono Gesù che tu perseguiti! Sono il Salvatore che tu cerchi di perseguitare, sono colui del quale è scritto nella tua legge: Sarà chiamato Nazareno, (Mt 2, 23-24). ma tu non sai ancora che tale parola deve compirsi. Che devo fare, Signore? (At 22, 10). Ecco, fratelli, un modello di conversione perfetta. Non sentite che Paolo dice: Saldo è il mio cuore, Dio, saldo e il mio cuore. Sono pronto e non voglio tardare a custodire i tuoi decreti (Sal 107, 2). Che devo fare, Signore? O parola breve, ma carica di senso, efficace e degna di essere esaudita. Sono pochi quelli che entrano in una tale disposizione di obbedienza perfetta, quelli che hanno abdicato alla loro volontà propria al punto da non possedere neppure più il proprio cuore. Costoro ricercano in ogni istante quanto vuole il Signore, non ciò che brama il loro piacere, sicché dicono senza posa: "Signore, che cosa vuoi che faccia?". Oppure pregano come Samuele: Parla, perché il tuo servo ti ascolta (1 Sam 3, 10) .
Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:21
Lettera per la difesa dei santi esicasti di san Gregorio Palamas. Défense des saints hésychastes, II, 3.24.31; III, 1.40. Trad. Meyendorff, Lovanio, 1953. Oggi vediamo con i sensi, attraverso la mediazione degli esseri e dei simboli visibili, ma quando saremo giunti oltre tutte queste realtà, vedremo direttamente la luce eterna, senza nessun diaframma. San Paolo, il nostro iniziatore, ce lo rivela scrivendo ai Corinzi: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia (1 Cor 13,12). Usando l'avverbio ora, Paolo pensa alla contemplazione accessibile all'uomo e conforme alla sua natura. L'aveva sperimentata lui stesso, oltrepassando i sensi e l'intelletto. Vide allora l'invisibile e ascoltò l'inaudibile, perché aveva ricevuto le primizie della rigenerazione e della contemplazione che essa suppone. Alludendo a sé stesso, Paolo disse anche: Quest'uomo udì parole indicibili (2 Cor 12,4). Potremmo credere che si trattò di un'attività dei sensi, ma egli aggiunge a tal proposito: Se con il corpo o fuori del corpo, non lo so (2 Cor 12,3). Perciò è chiaro che quella percezione supera i sensi e la mente, dato che queste facoltà sono coscienti di sé, quando funzionano. Ecco perché l'Apostolo aggiunge: Lo sa Dio, giacché allora agiva unicamente il Signore. Unito a Dio in quella contemplazione, Paolo oltrepassò l'esistenza umana, vide l'invisibile pur senza che esso diventasse visibile. L'invisibile, mezzo e oggetto della sua visione, non cessava di superare l'attività dei sensi. Nessuna creatura, angelo o uomo che sia,vedrà mai Dio, perché essa vede soltanto mediante i sensi o l'intelligenza. Invece colui che è spirito e vede in spirito, può contemplare Dio che è Spirito, dato che, secondo i teologi il suo modo di contemplare è adeguato a lui. Tuttavia, nella visione spirituale, la luce trascendente di Dio appare ancora più occulta. Quale essere infatti potrebbe ricevere tutta la potenza infinitamente attiva dello Spirito e percepire grazie ad essa la totalità di Dio? Perché parliamo di luce occulta? Questo splendore divino costituisce l'oggetto della contemplazione del veggente, aumenta la potenza dell'occhio spirituale unendosi ad esso, e si rivela sempre di più alla percezione spirituale. Questo fulgore di fuoco illuminerà sino alla fine dei secoli mediante raggi dallo splendore crescente, riempirà eternamente con la sua luminosità misteriosa e comunicherà la propria gloria all'essere creato che in sé stesso è senza luce. I teologi affermano che la luce di Dio è infinita. Quando nell'uomo è disinnescata ogni potenza conoscitiva, Dio diventa visibile ai santi grazie a quella luce, nella potenza dello Spirito. Allora Dio è contemplato come Dio dalla creatura divinizzata. Reso partecipe di colui che è il sommo Bene, l'uomo è trasformato in questo Bene e, secondo il detto di Isaia, riacquista forza (Is 40,31). Ogni attività dell'anima e del corpo scompare, e il veggente ha soltanto più la percezione di quella luce divina. Questa sovrabbondanza di gloria oltrepassa le proprietà della natura umana, affinché si attui quanto è scritto: Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15,28). L'uomo diventa allora figlio di Dio, dopo essere stato figlio della risurrezione. E' simile agli angeli che nel cielo vedono sempre la faccia del Padre che è nei cieli, secondo la parola del Signore (Cf Mt 18,10). La luce increata illumina le anime con un fuoco divino e immateriale. Questa luce agiva negli apostoli quando su di essi si posarono lingue di fuoco. Essa illuminò l'occhio spirituale di Paolo nella visione di Damasco, ma oscurò lo sguardo dell'Apostolo, perché la vista corporea non sopporta la potenza di quella luce. Mosè la contemplò nel roveto ardente. Essa apparve sotto l'aspetto di un carro di fuoco per rapire Elia dalla terra. Davide ne va in cerca, quando dice: Scrutami. Signore e mettimi alla prova, raffinami al fuoco il cuore e la mente. Questo medesimo fuoco avvampa il cuore di Cleofa e dell'altro discepolo lungo la via di Emmaus, poiché essi esclamano: Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi? (Lc 24,32). Gli angeli e gli spiriti preposti al servizio di Dio partecipano anch'essi a quel fuoco, come sta scritto: Fai delle fiamme guizzanti i tuoi ministri (Sal 103,4). Quel fuoco brucia la trave che ingombra l'occhio e purifica la visione perché l'uomo non veda più la pagliuzza nell'occhio del fratello, ma ammiri costantemente i miracoli di Dio, secondo il detto del salmista: Aprimi gli occhi, perché io veda le meraviglie della tua legge (Sal 118,18). Questo fuoco divino fuga i demoni, sopprime ogni male e annienta il peccato. E' potenza di risurrezione, energia d'immortalità, illuminazione dei santi e unificazione di potenze ragionevoli. Preghiamo perché questo fuoco ci incendi e possiamo camminare alla sua luce, senza mai vacillare.
Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:21
L'UDIENZA GENERALE, 15.11.2006CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANACari fratelli e sorelle,anche oggi, come già nelle due catechesi precedenti, torniamo a san Paolo e al suo pensiero. Siamo davanti ad un gigante non solo sul piano dell'apostolato concreto, ma anche su quello della dottrina teologica, straordinariamente profonda e stimolante. Dopo aver meditato la volta scorsa su quanto Paolo ha scritto circa il posto centrale che Gesù Cristo occupa nella nostra vita di fede, vediamo oggi ciò che egli dice sullo Spirito Santo e sulla sua presenza in noi, poiché anche qui l’Apostolo ha da insegnarci qualcosa di grande importanza.Conosciamo quanto san Luca ci dice dello Spirito Santo negli Atti degli Apostoli, descrivendo l’evento della Pentecoste. Lo Spirito pentecostale reca con sé una spinta vigorosa ad assumere l’impegno della missione per testimoniare il Vangelo sulle strade del mondo. Di fatto, il Libro degli Atti narra tutta una serie di missioni compiute dagli Apostoli, prima in Samaria, poi sulla fascia costiera della Palestina, poi verso la Siria. Soprattutto vengono raccontati i tre grandi viaggi missionari compiuti da Paolo, come ho già ricordato in un precedente incontro del mercoledì. San Paolo però nelle sue Lettere ci parla dello Spirito anche sotto un’altra angolatura. Egli non si ferma ad illustrare soltanto la dimensione dinamica e operativa della terza Persona della Santissima Trinità, ma ne analizza anche la presenza nella vita del cristiano, la cui identità ne resta contrassegnata. Detto in altre parole, Paolo riflette sullo Spirito esponendone l’influsso non solo sull'agire del cristiano, ma anche sull’essere di lui. Infatti è lui a dire che lo Spirito di Dio abita in noi (cfr Rm 8,9; 1 Cor 3,16) e che "Dio ha inviato lo Spirito del suo Figlio nei nostri cuori" (Gal 4,6). Per Paolo dunque lo Spirito ci connota fin nelle nostre più intime profondità personali. A questo proposito, ecco alcune sue parole di rilevante significato: «La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte... Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!» (Rm 8, 2.15), perché figli, possiamo dire "Padre" a Dio. Si vede bene dunque che il cristiano, ancor prima di agire, possiede già un’interiorità ricca e feconda, a lui donata nei sacramenti del Battesimo e della Cresima, un’interiorità che lo stabilisce in un oggettivo e originale rapporto di filiazione nei confronti di Dio. Ecco la nostra grande dignità: quella di non essere soltanto immagine, ma figli di Dio. E questo è un invito a vivere questa nostra figliolanza, ad essere sempre più consapevoli che siamo figli adottivi nella grande famiglia di Dio. E’ un invito a trasformare questo dono oggettivo in una realtà soggettiva, determinante per il nostro pensare, per il nostro agire, per il nostro essere. Dio ci considera suoi figli, avendoci elevati a una dignità simile, anche se non uguale, a quella di Gesù stesso, l'unico vero Figlio in senso pieno. In lui ci viene donata, o restituita, la condizione filiale e la libertà fiduciosa in rapporto al Padre.Scopriamo così che per il cristiano lo Spirito non è più soltanto lo «Spirito di Dio», come si dice normalmente nell'Antico Testamento e si continua a ripetere nel linguaggio cristiano (cfr Gn 41,38; Es 31,3; 1 Cor 2,11.12; Fil 3,3; ecc.). E non è neppure soltanto uno «Spirito Santo» genericamente inteso, secondo il modo di esprimersi dell’Antico Testamento (cfr Is 63,10.11; Sal 51,13), e dello stesso Giudaismo nei suoi scritti (Qumràn, rabbinismo). Alla specificità della fede cristiana, infatti, appartiene la confessione di un’originale condivisione di questo Spirito da parte del Signore risorto, il quale è diventato Lui stesso «Spirito vivificante» (1 Cor 15, 45). Proprio per questo san Paolo parla direttamente dello «Spirito di Cristo» (Rm 8,9), dello «Spirito del Figlio» (Gal 4,6) o dello «Spirito di Gesù Cristo» (Fil 1,19). E’ come se volesse dire che non solo Dio Padre è visibile nel Figlio (cfr Gv 14,9), ma che pure lo Spirito di Dio si esprime nella vita e nell’azione del Signore crocifisso e risorto!Paolo ci insegna anche un’altra cosa importante: egli dice che non esiste vera preghiera senza la presenza dello Spirito in noi. Scrive infatti: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare – quanto è vero che non sappiamo come parlare con Dio! - ; ma lo Spirito stesso intercede per noi con insistenza, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27). È come dire che lo Spirito Santo, cioè lo Spirito del Padre e del Figlio, è ormai come l'anima della nostra anima, la parte più segreta del nostro essere, da dove sale incessantemente verso Dio un moto di preghiera, di cui non possiamo nemmeno precisare i termini. Lo Spirito, infatti, sempre desto in noi, supplisce alle nostre carenze e offre al Padre la nostra adorazione, insieme con le nostre aspirazioni più profonde. Naturalmente ciò richiede un livello di grande comunione vitale con lo Spirito. E’ un invito ad essere sempre più sensibili, più attenti a questa presenza dello Spirito in noi, a trasformarla in preghiera, a sentire questa presenza e ad imparare così a pregare, a parlare col Padre da figli nello Spirito Santo.C'è anche un altro aspetto tipico dello Spirito insegnatoci da san Paolo: è la sua connessione con l’amore. Così infatti scrive l'Apostolo: «La speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Nella mia Lettera enciclica "Deus caritas est" citavo una frase molto eloquente di sant’Agostino: «Se vedi la carità, vedi la Trinità» (n. 19), e continuavo spiegando: «Lo Spirito, infatti, è quella potenza interiore che armonizza il cuore [dei credenti] col cuore di Cristo e li muove ad amare i fratelli come li ha amati lui» (ibid.). Lo Spirito ci immette nel ritmo stesso della vita divina, che è vita di amore, facendoci personalmente partecipi dei rapporti intercorrenti tra il Padre e il Figlio. Non è senza significato che Paolo, quando enumera le varie componenti della fruttificazione dello Spirito, ponga al primo posto l'amore: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, ecc.» (Gal 5,22). E, poiché per definizione l'amore unisce, ciò significa anzitutto che lo Spirito è creatore di comunione all'interno della comunità cristiana, come diciamo all'inizio della Santa Messa con un’espressione paolina: «... la comunione dello Spirito Santo [cioè quella che è operata da lui] sia con tutti voi» (2 Cor 13,13). D'altra parte, però, è anche vero che lo Spirito ci stimola a intrecciare rapporti di carità con tutti gli uomini. Sicché, quando noi amiamo diamo spazio allo Spirito, gli permettiamo di esprimersi in pienezza. Si comprende così perché Paolo accosti nella stessa pagina della Lettera ai Romani le due esortazioni: «Siate ferventi nello Spirito» e: «Non rendete a nessuno male per male» (Rm 12,11.17).Da ultimo, lo Spirito secondo san Paolo è una caparra generosa dataci da Dio stesso come anticipo e insieme come garanzia della nostra eredità futura (cfr 2 Cor 1,22; 5,5; Ef 1,13-14). Impariamo così da Paolo che l’azione dello Spirito orienta la nostra vita verso i grandi valori dell’amore, della gioia, della comunione e della speranza. Spetta a noi farne ogni giorno l'esperienza assecondando gli interiori suggerimenti dello Spirito, aiutati nel discernimento dalla guida illuminante dell’Apostolo.
Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:21
L'UDIENZA GENERALE, 22.11.2006CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANACari fratelli e sorelle,oggi completiamo i nostri incontri con l'apostolo Paolo, dedicandogli un'ultima riflessione. Non possiamo infatti congedarci da lui, senza prendere in considerazione una delle componenti decisive della sua attività e uno dei temi più importanti del suo pensiero: la realtà della Chiesa. Dobbiamo anzitutto constatare che il suo primo contatto con la persona di Gesù avvenne attraverso la testimonianza della comunità cristiana di Gerusalemme. Fu un contatto burrascoso. Conosciuto il nuovo gruppo di credenti, egli ne divenne immediatamente un fiero persecutore. Lo riconosce lui stesso per ben tre volte in altrettante Lettere: «Ho perseguitato la Chiesa di Dio» scrive (1 Cor 15,9; Gal 1,13; Fil 3,6), quasi a presentare questo suo comportamento come il peggiore crimine.La storia ci dimostra che a Gesù si giunge normalmente passando attraverso la Chiesa! In un certo senso, questo si avverò, dicevamo, anche per Paolo, il quale incontrò la Chiesa prima di incontrare Gesù. Questo contatto, però, nel suo caso, fu controproducente, non provocò l’adesione, ma una violenta repulsione. Per Paolo, l’adesione alla Chiesa fu propiziata da un diretto intervento di Cristo, il quale, rivelandoglisi sulla via di Damasco, si immedesimò con la Chiesa e gli fece capire che perseguitare la Chiesa era perseguitare Lui, il Signore. Infatti, il Risorto disse a Paolo, il persecutore della Chiesa: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (At 9,4). Perseguitando la Chiesa, perseguitava Cristo. Paolo, allora, si convertì, nel contempo, a Cristo e alla Chiesa. Di qui si comprende perché la Chiesa sia stata poi così presente nei pensieri, nel cuore e nell’attività di Paolo. In primo luogo, lo fu in quanto egli letteralmente fondò parecchie Chiese nelle varie città in cui si recò come evangelizzatore. Quando parla della sua «sollecitudine per tutte le Chiese» (2 Cor 11,28), egli pensa alle varie comunità cristiane suscitate di volta in volta nella Galazia, nella Ionia, nella Macedonia e nell'Acaia. Alcune di quelle Chiese gli diedero anche preoccupazioni e dispiaceri, come avvenne per esempio nelle Chiese della Galazia, che egli vide "passare a un altro vangelo" (Gal 1,6), cosa a cui si oppose con vivace determinazione. Eppure egli si sentiva legato alle Comunità da lui fondate in maniera non fredda e burocratica, ma intensa e appassionata. Così, ad esempio, definisce i Filippesi «fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona» (4,1). Altre volte paragona le varie Comunità ad una lettera di raccomandazione unica nel suo genere: «La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini» (2 Cor 3,2). Altre volte ancora dimostra nei loro confronti un vero e proprio sentimento non solo di paternità ma addirittura di maternità, come quando si rivolge ai suoi destinatari interpellandoli come «figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi» (Gal 4,19; cfr anche l Cor 4,14-15; 1 Ts 2,7-8).Nelle sue Lettere Paolo ci illustra anche la sua dottrina sulla Chiesa in quanto tale. Così è ben nota la sua originale definizione della Chiesa come «corpo di Cristo», che non troviamo in altri autori cristiani del I° secolo (cfr 1 Cor 12,27; Ef 4,12; 5,30; Col 1,24). La radice più profonda di questa sorprendente designazione della Chiesa la troviamo nel Sacramento del corpo di Cristo. Dice san Paolo: "Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo" (1 Cor 10,17). Nella stessa Eucaristia Cristo ci dà il suo Corpo e ci fa suo Corpo. In questo senso san Paolo dice ai Galati: "Tutti voi siete uno in Cristo" (Gal 3,28). Con tutto ciò Paolo ci fa capire che esiste non solo un'appartenenza della Chiesa a Cristo, ma anche una certa forma di equiparazione e di immedesimazione della Chiesa con Cristo stesso. E’ da qui, dunque, che deriva la grandezza e la nobiltà della Chiesa, cioè di tutti noi che ne facciamo parte: dall'essere noi membra di Cristo, quasi una estensione della sua personale presenza nel mondo. E da qui segue, naturalmente, il nostro dovere di vivere realmente in conformità con Cristo. Da qui derivano anche le esortazioni di Paolo a proposito dei vari carismi che animano e strutturano la comunità cristiana. Essi sono tutti riconducibili ad una sorgente unica, che è lo Spirito del Padre e del Figlio, sapendo bene che nella Chiesa non c’è nessuno che ne sia sprovvisto, poiché, come scrive l'Apostolo, «a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità» (1 Cor 12,7). Importante, però, è che tutti i carismi cooperino insieme per l'edificazione della comunità e non diventino invece motivo di lacerazione. A questo proposito, Paolo si chiede retoricamente: «E' forse diviso il Cristo?» (1 Cor 1,13). Egli sa bene e ci insegna che è necessario «conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace: un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati» (Ef 4,3-4).Ovviamente, sottolineare l'esigenza dell'unità non significa sostenere che si debba uniformare o appiattire la vita ecclesiale secondo un unico modo di operare. Altrove Paolo insegna a «non spegnere lo Spirito» (1 Ts 5,19), cioè a fare generosamente spazio al dinamismo imprevedibile delle manifestazioni carismatiche dello Spirito, il quale è fonte di energia e di vitalità sempre nuova. Ma se c'è un criterio a cui Paolo tiene molto è la mutua edificazione: "Tutto si faccia per l’edificazione" (1 Cor 14,26). Tutto deve concorrere a costruire ordinatamente il tessuto ecclesiale, non solo senza ristagni, ma anche senza fughe e senza strappi. C'è poi anche una Lettera paolina che giunge a presentare la Chiesa come sposa di Cristo (cfr Ef 5,21-33). Con ciò si riprende un’antica metafora profetica, che faceva del popolo d'Israele la sposa del Dio dell'alleanza (cfr Os 2,4.21; Is 54,5-8): questo per dire quanto intimi siano i rapporti tra Cristo e la sua Chiesa, sia nel senso che essa è oggetto del più tenero amore da parte del suo Signore, sia anche nel senso che l'amore dev'essere scambievole e che quindi noi pure, in quanto membra della Chiesa, dobbiamo dimostrare appassionata fedeltà nei confronti di Lui.In definitiva, dunque, è in gioco un rapporto di comunione: quello per così dire verticale tra Gesù Cristo e tutti noi, ma anche quello orizzontale tra tutti coloro che si distinguono nel mondo per il fatto di «invocare il nome del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Cor 1,2). Questa è la nostra definizione: noi facciamo parte di quelli che invocano il nome del Signore Gesù Cristo. Si capisce bene perciò quanto sia auspicabile che si realizzi ciò che Paolo stesso si augura scrivendo ai Corinzi: «Se invece tutti profetassero e sopraggiungesse qualche non credente o un non iniziato, verrebbe convinto del suo errore da tutti, giudicato da tutti; sarebbero manifestati i segreti del suo cuore, e così prostrandosi a terra adorerebbe Dio, proclamando che veramente Dio è fra voi» (1 Cor 14,24-25). Così dovrebbero essere i nostri incontri liturgici. Un non cristiano che entra in una nostra assemblea alla fine dovrebbe poter dire: "Veramente Dio è con voi". Preghiamo il Signore di essere così, in comunione con Cristo e in comunione tra noi.[01666-01.01] [Testo originale: Italiano]
Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:22
Dalla Lettera a Diogneto. Epitre à Diognète, 10-12, in SC 33, 76-85. Il Padre ha amato gli uomini, per essi ha creato il mondo, a loro ha sottomesso tutte le realtà terrene. Soltanto agli uomini Dio ha dato la parola e la ragione, perché potessero volgere lo sguardo verso il cielo: li ha plasmati a sua immagine. Poi Dio ha mandato il suo Figlio unigenito, promettendo il regno dei cieli a chi avrebbe amato l'inviato del Padre. Fratello, quando tu conoscerai Cristo, quale gioia ti colmerà il cuore! Allora amerai colui che per primo ti ha amato. Amandolo, imiterai la sua bontà. Non stupirti che un uomo possa divenire imitatore di Dio, perché tutto è possibile se Dio lo vuole. L'uomo non imita Dio quando domina il prossimo, sfrutta i più deboli, si arricchisce e violenta gli altri: tutti questi atti sono estranei alla grandezza divina e non rendono felici. Ma chi prende su di sé il fardello del prossimo, chi desidera far beneficiare i fratelli sfavoriti dei vantaggi che possiede, chi dona generosamente ai poveri i beni ricevuti dal Signore, costui svolge la parte di Dio: diventa imitatore del Padre. Non dico stranezze o assurdità: mi rendo maestro delle genti, perché sono discepolo degli apostoli. Trasmetto fedelmente la dottrina ricevuta a chi vuole apprendere la verità. Dopo aver ricevuto l'insegnamento autentico ed essere divenuto amico del Verbo, chi non avrebbe premura di conoscere la totalità della dottrina rivelata dal Verbo stesso ai suoi discepoli? Cristo manifestò questa dottrina manifestando sé stesso. Gli increduli non compresero questa parola di verità, ma i fedeli vi conobbero i segreti del Padre. Il Verbo fu mandato per manifestarsi al mondo; il suo popolo l'ha rigettato, ma gli apostoli predicarono e le nazioni credettero in lui. Il Figlio di Dio, che era fin dall'inizio, fu riconosciuto come Antico, ma ora appare come Nuovo, perché nasce senza posa nel cuore dei santi. Nell'oggi eterno egli viene chiamato Figlio. Cristo è la ricchezza della Chiesa e la fonte della grazia. Questa grazia si diffonde e colma i cuori dei credenti; dona loro l'intelligenza, svela i misteri, rivela l'economia dei tempi, allieta i fedeli. La grazia divina è offerta a chi la cerca e resta fedele agli impegni sacri della fede, rispettandone i limiti tracciati dai Padri. Ormai la grazia esulta di gaudio nella Chiesa, perché si celebra il rispetto per la legge, si riconosce il carisma dei profeti, si rinsalda la fede nei vangeli, si custodisce la tradizione degli apostoli. Non contristare questa grazia, che ti rivelerà i segreti del Verbo. Tutto quello che la volontà del Verbo mi ordina di esporre con cura, lo condivido con te, per amore della rivelazione che ho ricevuto. Avvicinati, ascolta con attenzione e conoscerai tutto quello che Dio dona a chi lo ama in verità. Diventerai un paradiso di delizie, in te crescerà un albero ubertoso e verdeggiante, ricco di frutti copiosi. Nel terreno del cuore umano furono piantati due alberi: quello della scienza e quello della vita. Ma la morte non viene dall'albero della scienza di Cristo, perché soltanto la disobbedienza manda in perdizione. Non c'è vita senza conoscenza, né scienza sicura senza vita vera. Per questo ì due alberi furono piantati uno vicino all'altro. L'aveva compreso l'apostolo Paolo che biasimò la scienza quando si esercita fuori della verità. Egli disse: La scienza gonfia, mentre la caritá edifica (1 Cor 8,1). Colui che crede di sapere qualcosa senza la vera scienza, confermata dalla vita, non sa proprio nulla. è sedotto dal serpente perché non ha amato la vita. Ma chi ha la coscienza permeata di timore e cerca ardentemente la vita, pianta nella speranza e può attendere i frutti. Cerca di interiorizzare la scienza; il Verbo di verità sia la tua vita. L'albero della verità crescerà allora in te e se desideri il suo frutto, potrai cogliere sempre i beni venuti da Dio, che il serpente non può rapire o l'inganno contaminare. Ormai Eva non è più sedotta, ma crediamo alla sua nuova verginità. Gli apostoli sono pieni di sapienza, appare la salvezza e la Pasqua del Signore si avvicina. L'ordine cosmico si ricompone i tempi si compiono. Il Verbo esulta nell'istruire i santi e per mezzo suo il Padre è glorificato. A lui la gloria in eterno. Amen.
Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:41
Dalle Catechesi battesimali di san Giovanni Crisostomo. Catéchèse baptismale IV, 7-12.16-17.19-22, in SC 50, 186-194. Paolo, il maestro dell'universo, prima della conversione perseguitava la Chiesa, si aggirava dovunque, trascinava uomini e donne, confondeva e turbava tutto mostrando un grande furore. Poi gli accadde di provare la benevolenza da parte del Signore; allora, illuminato dalla luce intelligibile, abbandonò le tenebre dell'errore e fu guidato alla verità. Mediante il battesimo si deterse da tutti I peccati commessi; egli, che prima faceva tutto per difendere il giudaismo e devastava la Chiesa, prese a confutare i giudei che abitavano a Damasco, annunziando che il Crocifisso è lo stesso Figlio di Dio.Comprendi la realtà? Vedi che Paolo ci dimostra con il suo comportamento di aver agito per ignoranza? Vedi come attraverso la stessa esperienza delle sue azioni insegnò a tutti noi ch'egli giustamente fu ritenuto degno della benevolenza celeste e fu guidato sulla via della verità?Il buon Dio, quando vede l'anima ben disposta ma sviata per ignoranza, non la disprezza, non la lascia a lungo senza il suo soccorso, ma mostra tutto il suo interessamento.Dio non trascura nulla di ciò che mira alla nostra salvezza, purché noi ci rendiamo degni di attirare con abbondanza la grazia celeste, come il santo che oggi celebriamo.Quanto prima aveva fatto, Saulo l'aveva fatto per ignoranza e, ritenendo di difendere con il suo zelo la legge, si era reso colpevole di confusione e di turbamento per tutti. Quando però ebbe imparato dallo stesso legislatore che camminava su una via sbagliata e non si accorgeva di precipitare in un abisso, non indugiò né rimandò. Subito, appena la luce intelligibile lo illuminò, abbandonato ogni errore, divenne annunziatore della verità. Infatti voleva condurre per primi sulla via della pietà quelli a cui portava le lettere che aveva ricevuto da parte dei sommi sacerdoti, come egli stesso diceva parlando alla folla dei giudei: Come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani, da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii allo scopo di condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme per esservi puniti (cf At 22, 5). Vedi Saulo che infuria come un leone e si aggira dovunque? Vedilo ora all'improvviso passare alla mitezza di una pecora. Colui che prima metteva in catene, cacciava in prigione, assaliva e perseguitava tutti coloro che credevano in Cristo, eccolo improvvisamente calato entro una cesta lungo le mura per sfuggire alle insidie dei giudei (cf At 9, 25-30). In seguito di notte fu fatto partire a Cesarea e di là inviato a Tarso per non soccombere al furore dei suoi connazionali. Vedi, o diletto, quale cambiamento? Vedi quale trasformazione è avvenuta? Vedi come, dopo avere sperimentato la generosità celeste, egli ha offerto con abbondanza il suo contributo, intendo lo zelo, il fervore, la fede, il coraggio, la pazienza, la grandezza d'animo, la fermezza inflessibile. Perciò fu ritenuto degno di un aiuto anche maggiore, come egli scrivendo diceva: Ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me (1 Cor 15, 10). Vi scongiuro, imitate Paolo anche voi che ora foste ritenuti degni di sottoporvi al giogo di Cristo e avete sperimentato l'adozione a figli. Subito, fin dall'inizio, mostrate tale fervore e fede in Cristo da meritare una maggiore grazia celeste, da rendere più splendente il vestito che oggi vi fu donato ed ottenere ampia benevolenza da parte del Signore. Quando non avevate ancora fatto opera di bene, ma eravate appesantiti dai peccati, Dio vi ha stimati degni dei suoi doni. Imitando la propria bontà, non solo vi liberò dalle colpe e vi donò la grazia, ma vi rese santi e vi concesse l'adozione a figli. Purché di fronte alla sua liberalità preveniente vi impegniate a offrire il vostro contributo e con la cura di ciò che già avete ricevuto mostriate la coerenza della vostra condotta, Dio non vi stimerà degni di una sua generosità ancora più grande? Oggi avete udito il beato Paolo, il dottore della Chiesa, che scrive e dice: Se uno è in Cristo, è una creatura nuova (2 Cor 5, 17). Perché non pensiamo che la sentenza paolina sia riferita a qualche creatura visibile, il testo sottolinea: Se uno è in Cristo, volendo insegnarci come chi abbia posto la sua fede in Cristo, rivela a noi una nuova creatura. Il fascino che si prova a contemplare cieli nuovi e nuovi aspetti della creazione, è analogo al profitto di scorgere un uomo passato dal vizio alla virtù, convertito dall'errore alla verità. Questi Paolo ha chiamato nuova creatura, per cui subito aggiunge: Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Sembra voler dimostrare che gli uomini, liberati dall'errore e illuminati dal lume della giustizia, quasi avessero deposto il peso dei peccati come un vestito vecchio, mediante la fede in Cristo Gesù hanno indossato questo vestito nuovo e splendente, l'abito regale. Ecco perché dichiara: Se uno è in Cristo, è una creatura nuova: le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove. Dimentichiamo il passato e come vivendo in una vita nuova, trasformiamo la nostra esistenza. Parliamo e agiamo in ogni cosa, memori della dignità di colui che abita in noi. Gli uomini che assumono incarichi pubblici terreni, sul vestito che indossano spesso portano l'impronta delle immagini regali, per cui appaiono degni di fede agli altri. Non accetterebbero mai dì compiere qualcosa che fosse indegno del vestito fregiato delle insegne regali; qualora anche si accingessero a farlo, molti glielo impedirebbero. Se poi qualcuno volesse trattarli male, essi hanno nel vestito che indossano una sufficiente sicurezza di essere premuniti da ogni maltrattamento. Quanto più allora chi ha Cristo stesso che dimora non sul vestito ma nella loro anima assieme con il Padre e lo Spirito Santo, devono davvero dimostrare molta fermezza. Manifestino a tutti con vita ordinata e vigilante, che portano dentro di sé l'immagine regale.Ora capite meglio perché Gesù diceva: Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli (Mt 5, 16). Vedi come il Signore esorta a far risplendere la luce che è in noi non con i vestiti ma con le opere? Infatti, dopo aver detto: Risplenda la vostra luce ha soggiunto: Perché vedano le vostre opere buone. Questa luce non si ferma alle sensazioni materiali ma illumina anche le anime e la mente di coloro che vedono; dopo aver disperso l'oscurità del male, spinge chi la riceve verso il proprio splendore divino e all'imitazione della virtù. Risplenda dice il testo citato la vostra luce davanti agli uomini, come per ammonire: "La vostra luce sia tale che non solo illumini voi, ma appaia anche davanti a tanti altri che hanno bisogno della sua guida".Perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. Gesù intende dire: "La vostra virtù, la coerenza nel comportamento ricco di opere di vita, spingano chi vi vede a glorificare il comune Signore di tutti". Ora ciascuno di voi, vi scongiuro, si sforzi di vivere con tale cura che tutti quelli che vi vedono innalzino lodi al Signore. San Paolo, imitatore di Cristo e maestro di perfezione, viaggiatore instancabile per portare dovunque la buona notizia dell'evangelo, scriveva dunque: Se uno è in Cristo, è una creatura nuova (2 Cor 5, 17); in realtà si rivolge a ognuno di noi come per dirci: "Hai deposto il vestito vecchio e hai ricevuto quello nuovo di un tale splendore da superare gli stessi raggi del sole Fa' in modo di conservare in questo fulgore la bellezza del vestito". Finché il dèmone del male, accanito oppositore della nostra salvezza, vedrà risplendere questo nostro vestito spirituale, non oserà neppure avvicinarsi, tanto ha paura del suo fulgore, poiché la luce che di qui promana accieca i suoi sguardi. Sì, davvero, le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove (Mt 5, 16).
Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:42
Dalle Orazioni di san Gregorio di Nazianzo.

Oratio II apologetica, 52-56, in PG 35, 461-465.

Pietro e Paolo, questi grandi discepoli di Cristo, insieme con il governo della parola e dell'azione, ne ricevettero il carisma e si fecero tutto a tutti per salvare tutti. Anche altri furono proposti al popolo come legislatori o profeti o capi militari o con altri uffici del genere. Mi riferisco a Mosè, Aronne, Giosuè, Elia, Eliseo, i Giudici; alludo a Samuele, a Davide, alla moltitudine dei profeti. E poi a Giovanni, ai dodici discepoli e agli altri che vennero dopo di quelli. Con molti sudori e fatiche, ciascuno a suo tempo, essi assunsero compiti direzionali.

Tuttavia, tralasciando tutti costoro, proponiamoci solamente Paolo e in lui consideriamo quale e quanto gran cosa sia la cura delle anime, quale impegno e dedizione richieda. A tal proposito, la cosa più semplice sarà ascoltare ciò che Paolo dice di se stesso.

Tralascio di parlare delle persecuzioni di cui Paolo fu oggetto, dei complotti, delle prigionie e catene, degli accusatori accaniti. La morte incombeva su di lui ogni giorno e ogni ora, come quando fu calato in una cesta dalle mura della città, oppure lapidato o battuto con le verghe.
Lascio pure da parte i suoi viaggi innumerevoli, costellati di pericoli. Sentiamoli descrivere dalla sua stessa penna: Pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani (cf 2 Cor 11, 26).

Quel guadagnarsi la vita con le sue mani (cf 1 Cor 4, 12) e predicare il vangelo gratuitamente (cf 1 Cor 9, 18). Si offrì in spettacolo agli angeli e agli uomini, lui che si presentava mediatore tra Dio e gli uomini, per questi affrontando lotte e combattimenti ai fini di convocare e costituire un popolo eletto per Dio (cf Tt 2, 4; Dt 7, 6; 14, 2).

A parte tutto ciò, chi potrebbe degnamente passare in rassegna la sua quotidiana direzione, la sua sollecitudine verso ciascuno, la cura per tutte le Chiese (cf 2 Cor 11, 28), l'essere spiritualmente solidale e fraterno con tutti? Qualcuno inciampava e Paolo se ne affliggeva; un altro veniva scandalizzato e Paolo fremeva.

Che dire dell'instancabile azione di Paolo nell'insegnamento? Ricorderò la capacità di adattare la sua evangelizzazione: ora egli usava la bontà, ora un piglio severo. Voglio dire che il suo metodo dosava in sapiente alternanza dolcezza e rigore per cui il suo tratto benevolo non rendeva fiacche e molli le persone, ma neppure le esasperava con la sua intransigenza (cf Ef 6, 5-9; Col 3, 22; 4, 1).
Egli detta la legge per schiavi e padroni, per chi comanda e per chi è comandato (cf Rm 13, 1-7); per uomini e per donne (cf Col 3, 18-19), per genitori e per figli (cf Ef 6, 1-4), per il matrimonio e per il celibato (cf Ef 5, 22-23). Traccia la via da seguire per la continenza e la dissolutezza (cf 1 Cor 7, 9), per la sapienza e l'ignoranza (cf 1 Cor 12, 8), per la circoncisione e l'incirconcisione (cf Rm 2, 25-29), per Cristo e per il mondo (cf Rm 1, 9) per la carne e per lo spirito (cf Rm 2, 28-29). Ringrazia alcuni (cf Rm 1, 8; 1 Cor 1, 4), attacca altri.
Ad alcuni dà il nome di gioia e di corona (cf Fil 4, 1) ad altri rimprovera la loro insensatezza (cf Gal 3, 1). Con chi avanza bene si fa compagno di strada e di fatica; trattiene invece chi batte la cattiva strada. Ora nega (cf 1 Cor 5, 5), ora conferma la sua carità (cf 2 Cor 2, 8).

Paolo combatte per tutti, per tutti prega, verso di tutti è zelante (cf 2 Cor 11, 2) s'infiamma per tutti, siano fuori o sotto la legge: predicatore delle genti (1 Tm 2, 7), guida dei Giudei (cf 1 Cor 9, 20). Ebbe l'ardire (cf 2 Cor 11, 21) - ne ho un poco anch'io per parlare agli altri di lui - di fare qualcosa ancora più grande a favore dei suoi fratelli secondo la carne: per la sua carità desidera che siano posti presso Cristo in sua vece (cf Rm 9, 3). Quale grandezza d'animo!
Quale fervore dello spirito!

Imita Cristo, che si fece maledizione per noi (cf Gal 3, 13), che prese le nostre debolezze e sopportò le nostre malattie (cf Mt 8, 17; Is 53, 4). Oppure, per parlare più modestamente, accetta, per primo dopo Cristo, di soffrire, anche come empio, qualcosa per loro, purché si salvino. Ma perché dico le cose ad una a una? Paolo non viveva per sé, ma per Cristo e per l'annuncio della Parola (cf Gal 6, 14).

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