Tutti i mercoledì su La Stampa la rubrica Istantanee di Nadia Ferrigo
Pubblicato il 05/12/2018
Ultima modifica il 05/12/2018 alle ore 11:54
nadia ferrigo
Ahmadabad, india
Le spose velate e sfavillanti stringono tra le mani un pezzo di carta. È il loro contratto. Una donna con le unghie smaltate di blu lo legge, un’altra sembra spiare quello della vicina, tante lo tengono posato in grembo. In India i matrimoni collettivi sono assai comuni, organizzati da magnati - celebri le generose cerimonie del commerciante di diamanti Mahesh Savani -, o da governo e associazioni per aiutare le famiglie che non possono permettersi il costo dei doni e dell’elaborato cerimoniale. Nel Nikaahnama, le linee guida per il codice matrimoniale stilate dal Consiglio nazionale islamico, si stabilisce che nel contratto ci sia anche il Maher, il «prezzo della sposa». Spesso solo simbolico.
Il ripudio islamico, per cui al marito è permesso sciogliere il contratto ripetendo per tre volte «Talaq», «Io divorzio da te», non è ancora vietato. Ma dallo scorso settembre può essere punito.
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